Il
lavoro e i lavori, produrre e procedere
Di Dante Balbo
Il pellegrino
è modello del lavoratore che realizza nella sua attività lo scopertine/copo
fondamentale del lavoro: cercare un centro, un orizzonte che ci renda uomini.
PREMESSA
Caritas sta conducendo da anni un intervento e una riflessione sul lavoro e
sulla sua evoluzione nella società post moderna. Anche da Fano in Italia,
dove ho frequentato un corso di Pastorale Matrimoniale e Politiche Famigliari
sono venuti spunti interessanti su questo argomento, in particolare da parte
del professor Stanislaw Grygiel, preside del corso e docente di filosofia del
matrimonio, dello Stato e della Società. A lui il mio ringraziamento
per quanto si leggerà qui di seguito.
IL LAVORO NON HA PREZZO
La faccia tonda e imbarazzata dell'uomo si specchiò nell'acciaio lucido
del lavello, mentre mi osservava incerto. "Quanto le devo?" ripetei
a mia volta un po' perplesso. "Sarebbero duecento franchi! ... Sa il materiale
costa ...". Prese il denaro quasi che gli stessi facendo un torto e scappò
letteralmente, come se lo avesse rubato. Eppure non era stato eccessivamente
caro e io non avevo battuto ciglio, ascoltando il conto. Lo avevo osservato,
durante il suo lavoro, attento e meticoloso, come se la casa fosse la sua, come
se io fossi un amico a cui stava facendo un favore, nel suo tempo libero. "Ecco
un uomo che lavora per sé!" pensai, quando se ne fu andato. Un episodio
minimo, che avrei potuto lasciar passare nel mio giorno come ì tanti
momenti che non lasciano traccia, eppure dentro nascondeva un segreto, una chiave
per cambiare la vita.
SI STA COME D'AUTUNNO SUGLI ALBERI LE FOGLIE
La nostra vita è un soffio, dice un salmo, è come l'erba del campo,
che a sera appassisce. In questa vita che passa in un attimo il nostro affaccendarci
è frenetico, aggrappati sempre di più alle cose con la sete di
naufraghi nell'ampio mare salato in cerca di acqua dolce. Cerchiamo una casa,
una radice, con la consapevolezza che ogni cosa che passa non potrà soddisfare
la nostra esigenza di infinito. In questo dilemma due sono le strade, la disperazione
e la speranza. Possiamo arrenderci sconfitti all'evidenza della nostra fragilità
e della caducità del mondo oppure possiamo sperare che alla nostra domanda
vi sia una risposta.
SIAMO CiO' CHE CERCHIAMO
Se la nostra vita è un continuo affannarci alla ricerca di mille cose,
siamo le cose che cerchiamo, diventiamo progressivamente ciò che è
la nostra meta. Pensiamo a quelle persone che invecchiano presto attaccandosi
ai soldi. Prima o poi diventano aride come il denaro che inseguono, non sono
capaci di fare altro che accumulare, contare, scambiare cose. Se al centro della
nostra casa sta l'Altro, il rapporto con qualcuno, progressivamente cammineremo
verso colui che cerchiamo. Questo qualcuno non può essere come noi, altrimenti
non ci sarebbe niente da cercare, ma deve essere Altro, più avanti di
noi, più grande di noi. Questo Altro noi cristiani lo chiamiamo Dio,
i filosofi lo chiamano la trascendenza.
VIVERE È PELLEGRINARE
Allora la casa e le radici non si devono trovare, ma cercare sempre. La nostra
vita diventa un pellegrinaggio verso il santuario che è al centro della
nostra casa e che ci attira come il Monte del roveto ardente attrasse l'attenzione
di Mosè. I pellegrini, dunque, coloro che partivano per andare a Roma
o a Gerusalemme o alla Mecca sono il modello del nostro andare nel mondo. Essi
cercavano di raggiungere i luoghi santi, dove ritrovare la memoria della loro
liberazione, della loro salvezza. Ma proprio nel pellegrinaggio si compiva la
liberazione e la salvezza. Così per noi questo cammino verso il centro
della nostra vita, memoria e liberazione insieme, tanto vicino e tanto Altro
da noi, si compie la liberazione.
SEGNO DEL CAMMINO: LA DIFFERENZA
Se quello che cerchiamo è necessariamente un altro, diverso da noi, è
proprio la differenza che ci unisce. Il primo segno di questa differenza nella
nostra vita è proprio la diversità dei sessi. Questa evidenza
scritta nel corpo, ma che va ben al di là di esso, ci indica sempre che
non siamo sufficienti a noi stessi, che non possiamo essere interamente noi
se non nell'incontro con l'altro diverso da noi. È questa differenza
ad indicarci la strada per raggiungere una differenza più grande che
è nostra origine e nostro fine.
IL LAVORO È FATICA DI VIVERE
La parola lavoro deriva dal latino labor, che significa fatica e la nostra è
una fatica, un impegno grande nel lasciarci trasformare dall'altro che è
nostra meta. Questo è il nostro lavoro, quello che non ha prezzo, quello
che ci fa costruire rapporti con gli altri, che ci fa crescere. In questo senso
tutti i lavori sono buoni, se ci aiutano a camminare verso la costruzione della
nostra casa. Ma la costruzione della nostra casa è edificazione di relazioni,
perché non siamo niente se non in relazione con qualcuno. I lavori per
produrre cose fanno parte del mondo delle cose, si scambiano con altre cose
o con un sostituto delle cose che è il danaro. Il lavoro di diventare
sempre più uomini non si paga e non si vende. Ma mentre con la produzione
di cose non si costruiscono persone, con l'edificazione delle persone, si rendono
umani anche i lavori più allienanti.